OPERAZIONI AL VETRIOLO

Stefano Pasquini ha un rapporto di totale distacco dalla gestione normale della realtà. Tale operazione però non esclude una sua presa di posizione critica, piuttosto la rafforza. Il “distacco” infatti è dovuto a un forte senso di ironia che assicura quella presa di distanza proprio per aumentare quantitativamente la capacità di affrontare in modo disilluso e disinibito i fatti del presente con la certezza che esiste una impossibilità di comunicazione. Infatti le incursioni di Pasquini in vari campi della realtà diventano esplorazioni di paradisi sociali che, come i “mostri”, vengono consumati e sbattuti in prima pagina. Ecco dunque che a volte delle semplici fotografie raccolte da terra sono enormemente ingrandite e dominano dalle pareti degli edifici oppure, secondo una operazione contraria, molti elementi, quelli “importanti per tutti”- e valga come esempio una banale statuetta della libertà- sono rimpiccioliti a tal punto da dovere essere trovati con l’aiuto di una lente di ingrandimento. Comunque si tratta sempre di un modo di mettere in campo problemi precisi: sono questi gli attuali truismi, cioè le verità ovvie e lapalissiane, che hanno il compito di spostare l’attenzione da un punto a un altro e di anestetizzare l’esistente. Per fare ciò Pasquini ricorre con disinvoltura al grottesco e al paradosso proprio per indurre dei ribaltamenti di senso. Dicevo appunto che le sue sono delle operazioni al vetriolo, dunque corrosive del piano fenomenologico della realtà. Andando “sotto” si oppongono alla ovvietà del mondo di oggi e all’ immensa e scontata rete informativa fungendo da elementi spiazzanti, da imput visivi più efficaci. L’ iter innescato equivale infatti a quello dei motti di spirito freudiani che hanno il compito di fare precipitare molte certezze e che provocano invece, per cortocircuito, una battuta d’arresto in una specie di lampo di lucidità. Per fare ciò Pasquini spesso “cambia faccia” e si cala in panni via via differenti, in modo tale da potere scappare fuori vivacemente sotto le spoglie di Spiderman o di un banale osservatore con quattro occhi o di un intervistatore muto e cieco come un “servo sciocco”. In questa ultima occasione infatti si ricopre di una testa di zucca (da cui “zuccone”, privo di autonomia e intelligenza). Al posto della bocca ha una lampo chiusa che sottolinea la coscienza della impossibilità comunicativa. Bontà sua, però, per non farci troppa paura, Stefano vi aggiunge occhi non vedenti da topolino. Come si svolge dunque l’intervista? Non certamente come ci indica il nome stesso rimandandoci a una operazione vista appunto fra due o più persone, dove esiste un intervistatore e coloro che vengono interpellati. L’intervista è muta e dunque, se si vuole, non pilotata, ma è fatta solo da domande che riguardano paradossalmente problemi “bassi”-quotidiani (Quale è la tua parola preferita?) oppure problemi che riguardano fatti “alti”(Cosa ne pensi del conflitto in Iraq?, Quale è la tua idea di Felicità – con la lettera maiuscola – perfetta?). Si tratta di ready made della ovvietà, di potenti sberleffi alle convinzioni indotte dalla comunicazione attuale: a volte infatti possiamo leggere in modo secco e improduttivo frasi del tipo piangi spesso? impresse in flags, quelle di solito deputate a esprimere e sbandierare messaggi alto-simbolici. E così, di volta in volta, Pasquini assume personalità multiple abbandonandosi al flusso continuo dei paradossi della nostra società. Come Marcel Duchamp, non perde mai di vista questi suoi obbiettivi dimostrando una intenzionalità lucida e sarcastica che, stando a monte, unifica e dà senso alle sue varie “manifestazioni” sia che ci vengano propinate dai suoi video che dalle sue performance o dai suoi giochi di parole o dall’alto delle sue bandiere.

Uno dei punti più importanti di tutte queste “azioni” energetiche è costituito da una costante depauperazione estetica e da una conseguente operazione anestetizzante che fa assomigliare l’artista o, meglio, l’operatore a una specie di alieno, di diverso che emerge dal mondo normale non tanto per registrarlo quanto per metterlo in crisi di coscienza, ma con ironia e sarcasmo, non certo facendo ricorso a dotte e pesanti considerazioni.

Tale operazione corrisponde, per omologia, alla smaterializzazione attuale dove col “poco” si induce il “molto”, in questo caso facendo uno sberleffo a tutte le certezze che ci vengono propinate. Anche gli assemblages scultorei,si fa per dire, si muovono in questa direzione. In realtà Pasquini, di volta in volta, fa la lista della spesa, si prepone un “programmino” di acquisti con importi minimi (Cinque sculture da 4$ comprensive del prezzo della colla che serve a fissarle per la paura che volino via). Un bricolage così fatto è basato non su ciò che si compra e sulla conseguente componente estetica, ma piuttosto su ciò che, per scommessa, il progetto, ovvero la cifra che Pasquini si mette di volta in volta a disposizione, può permettere e consentire. Dunque un ribaltamento di senso nella vanificazione di qualsiasi “bello” possibile. Si tratta, ancora una volta, di un paradosso che prende in giro il prodotto artistico, lo stesso che con vivacità sempre Pasquini ci propina nei suoi Progetti irrealizzabili. Così le vivaci statuine di plastica “fatte di niente”, rubate per due lire al mondo della secondarietà, del già fatto, alla fine sembrano trovare una loro “epica” senza sapere però che servono proprio a negare quest’ultima invalidandola subito proprio già dalla loro costituzione. Non si tratta infatti di un combattimento per una qualsiasi realizzazione di immagine, ma di un progetto povero, che ricorre a una cosalità di comodo, simile, come accennavo, a quelle liste della spesa che, pur in economia, vanno alla ricerca di un “cibo” buono soprattutto a dare nuova energia.

Alessandra Borgogelli, 2007